La tragedia si sta per compiere e Amleto dedica al pubblico la propria morte, tra poco il suo corpo verrà portato sul palco e i cannoni annunceranno al cielo che un nobile uomo è caduto. Peccato che la morte lo abbia privato del suo destino e gli abbia riservato un posto tra i miti. Il suo dolore, come quello di Kurt Cobain, rimarrà eternamente giovane: diventerà leggenda e i suoi affezionati ammiratori, nei più diversi adattamenti, potranno riascoltare i pensieri che gli divorano il cuore. Ma quando della morte rimangono solo il silenzio e l’odore, quando i personaggi hanno compiuto il loro tragico destino, quando il pubblico ha consumato il suo pasto e sazio dell’eroe che pensa ha lasciato il teatro per rientrare nella quotidianità, chi si occupa di seppellire i sogni perché il giorno dopo rifioriscano? Nella nostra riscrittura scenica ha preso forma la figura del becchino. A lui il compito di raccogliere i feticci dei personaggi, seppellire i loro sogni, cancellare i segni del loro passaggio. Ma anche quello di animarli ricordandone le battute, come burattini nelle mani di un demiurgo compassionevole e ironico. Per lui, a questa tragedia del disincanto non c’è cura o soluzione, se non quella di vivere in un cimitero fatto di trucchi e artifici, da cui forse è ancora possibile lasciarsi incantare.